CoagulazioneI disordini della coagulazione annoverano patologie di tipo congenito e di tipo acquisito che sono caratterizzate da un aumentato rischio emorragico e/o da un aumentato rischio trombotico.
Le coagulopatie congenite sono un gruppo di disordini ereditati, di specifica pertinenza ospedaliera, dovuti ad una carenza quantitativa o più raramente ad un’anomalia qualitativa di uno dei fattori plasmatici della coagulazione la cui severità causa manifestazioni emorragiche.

Il termine generico di trombofilia definisce un aumentato rischio di sviluppare fenomeni tromboembolici venosi. Oltre che nei pazienti chirurgici, traumatizzati o affetti da rilevanti comorbidità, la malattia tromboembolica può insorgere anche in assenza di elementi causativi o favorenti noti e non si potrà definire che primitiva o idiopatica. Alcuni pazienti possono essere affetti da una distinta entità nosografica definita trombofilia ereditaria in cui la natura della predisposizione è da ricercarsi nelle sfavorevoli caratteristiche genetiche del paziente poichè dipende da difetti genetici che causano una riduzione quantitativa o qualitativa di uno o più degli inibitori naturali del sistema coagulativo o dei fattori coinvolti nel processo fibrinolitico.

Qualora sulla scorta dell’anamnesi, dell’esame fisico e di eventuali esami bioumorali, ematologici e strumentali, si sospetti un episodio tromboembolico primitivo, cioè non imputabile ad una delle condizioni di trombofilia acquisita, si imporrà l’obbligo di avviare opportune indagini diagnostiche volte ad identificare la presenza di un fattore di rischio congenito.
Un episodio trombotico comparso intorno ai 45 anni di età, la presenza di familiari di primo grado con un episodio trombotico avvenuto ad un’età inferiore a 60 anni senza causa apparente, una recidiva trombotica, ogni episodio legato alla gravidanza: aborti ricorrenti, assunzione di terapia estroprogestinica, un gruppo sanguigno diverso dallo 0 (zero) possono favorire l’introduzione del concetto di fattori di rischio su base ereditaria.

Tale situazione presuppone l’adozione di opportune indagini strumentali e laboratoristiche per stratificare il rischio ed adottare opportuni provvedimenti terapeutici e profilattici che spaziano dalla terapia anticoagulante orale che deve avere un trattamento più o meno prolungato, anche per tutta la vita, qualora l’episodio trombotico, insorto spontaneamente sia stato massivo o complicato da embolia polmonare o sia insorto in sedi inusuali come le vene mesenteriche o le vene cerebrali. Tuttavia in casi non particolarmente gravi in assenza di uno dei fattori ad alto rischio trombofilico, carenza di ATIII, Prot. C coagulativa, Prot. S Coagulativa, la TAO potrà essere limitata a 6 mesi dopo l’episodio. I pazienti portatori asintomatici del difetto dovranno essere adeguatamente informati dell’aumentato rischio a cui la loro condizione li espone, raccomandando loro un’attenta profilassi antitrombotica nelle situazioni a rischio (per es. chirurgia, traumi, allettamento) e nelle donne andrà evitata la somministrazione di farmaci contenenti estrogeni. Nelle donne gravide con precedenti episodi tromboembolici o aborti, si ricorrerà alla profilassi eparinica durante il periodo della gravidanza.

Molto comune nelle donne è la cosiddetta “Sindrome da Anticorpi Antiosfolipidi” caratterizzata da aborti ricorrenti e dalla presenza di fattori di rischio collaterali, quali obesità, diabete, ipelipidemia. La pratica corrente è basata su un approccio multidisciplinare, sia con l’adozione di una terapia antiaggregante con Aspirina a basso dosaggio per tutta la durata della gravidanza associata o meno alla somministrazione di eparina a basso peso molecolare, che andrà senz’altro usata in presenza di eventi tromboembolici verificatisi in precedenti gravidanze.

Autore: Dottor Pietro Falco Medico Chirurgo Specialista in Ematologia iscritto all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Latina con N° d’iscrizione 2770 del 30/09/1997.

Dott. Pietro Falco

Ematologo