Esempio di tera­pia del­l’ar­tro­de­si:

La sta­bi­liz­za­zio­ne del­la colon­na è una pro­ce­du­ra chi­rur­gi­ca in cui due ver­te­bre ven­go­no uni­te insie­me tra­mi­te un impian­to chi­rur­gi­co.

Questa pro­ce­du­ra è indi­spen­sa­bi­le in alcu­ni casi per risol­ve­re il dolo­re lom­ba­re (mal di schie­na bas­so) di alcu­ne pato­lo­gie.

Ne par­lia­mo con il Prof. Carmine Franco con­si­de­ra­to un esper­to di Chirurgia Vertebrale con all’attivo oltre 4000 inter­ven­ti ese­gui­ti e che svol­ge la sua atti­vi­tà chi­rur­gi­ca pres­so l’Icot di Latina.

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A cosa serve la Stabilizzazione Vertebrale?

“Questo tipo di pro­ce­du­ra chi­rur­gi­ca è indi­spen­sa­bi­le in alcu­ne pato­lo­gie come le spon­di­lo­li­ste­si, in cui due ver­te­bre non sono più tenu­te insie­me e sci­vo­la­no l’una sull’altra, le gra­vi disco­pa­tie dege­ne­ra­ti­ve, in cui il disco risul­ta schiac­cia­to con con­se­guen­te avvi­ci­na­men­to del­le due ver­te­bre e  la sco­lio­si o alte­ra­zio­ne del nor­ma­le pro­fi­lo del­la colon­na”.

L’intervento di stabilizzazione è pericoloso?

“Come ogni inter­ven­to sono pos­si­bi­li com­pli­can­ze. Esse comun­que sono ridot­te dall’utilizzo di moni­to­rag­gi intrao­pe­ra­to­ri e dall’apparecchio di bril­lan­za radio­lo­gi­ca intrao­pe­ra­to­ria. La com­pli­can­za più fre­quen­te è l’infezione, risol­ta gene­ral­men­te da tera­pie anti­bio­ti­che”.

Quali sono le tecniche utilizzate?

“La tec­ni­ca uti­liz­za­ta può esse­re di tipo dina­mi­co con impian­ti dota­ti di una cer­ta mobi­li­tà e rigi­da o artro­de­si in cui avvie­ne la fusio­ne ossea per garan­ti­re la sta­bi­li­tà del seg­men­to trat­ta­to. Può esse­re poste­rio­re e riguar­da­re le fac­cet­te e i pedun­co­li, ante­rio­re e riguar­da­re il cor­po ver­te­bra­le, o entram­be. Quella poste­rio­re avvie­ne attra­ver­so l’utilizzo di viti pedun­co­la­ri in tita­nio che ormai sem­pre con più fre­quen­za sono inse­ri­te attra­ver­so una pic­co­la inci­sio­ne cuta­nea, la cosid­det­ta sta­bi­liz­za­zio­ne per­cu­ta­nea. Le viti sono poi uni­te fra loro attra­ver­so una bar­ra. Quella ante­rio­re riguar­da lo spa­zio inter­so­ma­ti­co fra le due ver­te­bre e avvie­ne attra­ver­so l’utilizzo di cage che pos­so­no esse­re in tita­nio o in peek, con acces­so che può esse­re ante­rio­re, poste­rio­re o late­ra­le”.

Quanto dura l’intervento?

“La dura­ta dipen­de da mol­ti fat­to­ri qua­li il nume­ro di ver­te­bre da sta­bi­liz­za­re, la tec­ni­ca uti­liz­za­ta, la neces­si­tà o meno di pra­ti­ca­re oltre alla sta­bi­liz­za­zio­ne anche una decom­pres­sio­ne”.

Quanto dura il ricovero?

“Varia in fun­zio­ne dell’età del pazien­te, del­le pato­lo­gie asso­cia­te e del­la com­ples­si­tà dell’intervento. In media sono neces­sa­ri 4–5 gior­ni di rico­ve­ro”.

Il paziente stabilizzato può tornare a muoversi normalmente?

“L’obiettivo nei casi nor­ma­li è quel­lo di tor­na­re a una vita nor­ma­le ed anche alla pos­si­bi­li­tà di fare sport. Ho avu­to casi di cicli­sti e cal­cia­to­ri ope­ra­ti che dopo alcu­ni mesi dall’intervento han­no ripre­so rego­lar­men­te l’attività spor­ti­va”.

E necessaria la fisioterapia?

“Dopo 30–40 gior­ni dall’intervento è spes­so indi­ca­to un perio­do di fisio­te­ra­pia che può anda­re da alcu­ne sedu­te ad alcu­ni mesi per tor­na­re alla nor­ma­le atti­vi­tà quo­ti­dia­na e spor­ti­va”.

Lei consiglia quindi questo tipo d’intervento?

“Posso affer­ma­re che in alcu­ne pato­lo­gie del­la colon­na la sta­bi­liz­za­zio­ne è asso­lu­ta­men­te neces­sa­ria per risol­ve­re la sin­to­ma­to­lo­gia dolo­ro­sa e ripren­de­re una qua­li­tà di vita nor­ma­le, tran­quil­liz­zan­do il pazien­te sul tipo d’intervento cui deve anda­re incon­tro con rischi mini­mi rispet­to ai bene­fi­ci”.

Prof. Carmine Franco

Neurochirurgo